Policromie di Controcultura

Materiali d’archivio, arti grafiche e souvenir
Ok, partiamo dal presupposto sbagliato: che questa sia una mostra.
Sei in una galleria, si. Ma no, questa non è un’esposizione. È un tentativo di rievocazione, assolutamente instabile, di un demone editoriale ostinato e incosciente, con le mani sporche e la bocca piena di bestemmie.
Il percorso – chiamiamolo così per comodità – non segue una consecutio temporum. Come non la seguiva chi, in quegli anni lì, si faceva esplodere le sinapsi con visioni acide e rumore, riportando tutto su carta stampata e infettando il sistema limbico delle città italiane, apparentemente dormienti.
Torazine non racconta quegli anni. Torazine è quegli anni.
In questa topografia dell’allucinazione ci sono sedici elementi chiave, alcuni dei quali non sono opere, ma feticci rituali, residui organici e altri errori. Sparsi tra due stanze, senza un ordine regolare, come se il tempo stesso fosse andato in tilt, come se dopo un acido, non fosse mai tornato indietro. Potrete, aprire i cassetti dell’archivio. Vi consigliamo di farlo con rispetto e lentezza, perché dentro troverete inediti mai esposti, reperti dimenticati persino dagli autori stessi, frammenti di una memoria collettiva che si è degradata, sciolta, come una medusa lasciata troppo tempo al sole.
E non è un’immagine poetica, è un dato empirico: c’è davvero una medusa secca dentro uno dei cassetti, o almeno qualcosa che le somiglia. Nessuno sa da dove venga. Potrebbe essere un residuo di colla, o un’opera di uno degli autori. O semplicemente, potrebbe essere nata lì. Come Torazine. Per mitosi o per sbaglio.
I poster disseminati lungo il percorso non sono semplici promozioni di eventi: sono grida di presenza, tentativi disperati di Torazine di esistere anche fuori dalla carta, nei centri sociali, nei rave, nei sotterranei, nei corridoi umidi dei primi forum. Ogni manifesto è un codice genetico, un’eco dell’unico mantra: “non siamo arte, proprio per questo lo siamo diventati”.
L’estetica? Estetica è una parola elegante.
Tipo quelle parole che la gente usa a cena per non parlare davvero di cosa pensa, o cosa desidera. Estetica è una parola che si è fatta il lifting. Torazine invece no: è quel dente storto che ti sei sempre detto di voler sistemare e poi hai deciso che ti dava personalità. Solo che qui il dente è marcio e forse apparteneva a qualcun altro.
Torazine ruba i simboli e se ne riappropria, raschia, urla e rigetta in faccia gli indigesti succhi gastrici dell’epoca:
Charles Manson, Che Guevara, Svastiche, Madonne e Osama Bin Laden, cosa hanno in comune ?
Sono tutte vittime di Torazine
La sua forza è stata l’osmosi con le controculture urbane della fine del ‘900: graffiti, rave, pornografia da fotocopia, mitologia DIY. Torazine era là prima dei social, prima dei meme, prima che la dissidenza diventasse mainstream e la trasgressione un prodotto da comprare in edizione limitata
Niente in questa mostra è “bello” nel senso giusto.
Niente qui vuole piacerti.
Ripetiamo
Questa non è una mostra.
È una capsula del tempo che si è rotta. E ora i fumi stanno uscendo. Non c’è nulla da capire. C’è solo da guardare. E poi guardare ancora. E poi, possibilmente, cercare di dormire lo stesso.
Benvenuti – o forse, di nuovo: no.
Alessio d’Anelli per PrimaLinea Studio